Accise sulle auto elettriche, la ricarica sarà ancora più cara

Il Governo medita se applicare o meno le accise sulle auto elettriche in futuro per recuperare i minori introiti derivanti dalle vetture a combustione

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Manuel Magarini

Giornalista automotive

Classe 90, ha una laurea in Economia Aziendale, ma un unico amore: la scrittura. Da oltre dieci anni si occupa di motori, in ogni loro sfaccettatura.

Razzolare bene, predicare male. Scoppiano le polemiche sul Governo Meloni per quanto riguarda la politica sulle auto elettriche, giudicata contraddittoria. Mentre gli incentivi del 2024 stanno finalmente per arrivare, sul fronte opposto l’esecutivo in carica sta valutando l’introduzione delle accise sulle relative ricariche. L’obiettivo è compensare il calo del gettito fiscale derivante dalla minore vendita di carburanti tradizionali. L’idea però non mette proprio tutti d’accordo, inclusa la stampa. Lorenzo Borgia, sul Foglio del 20 maggio 2024, esprime perplessità riguardo alla manovra in atto. Andare fino in fondo significherebbe a suo avviso fare un clamoroso autogol.

Una piccola nicchia

A differenza di altri Paesi, dove i veicoli full electric hanno conosciuto una rapida diffusione, nella nostra penisola rimangono una piccola nicchia. Di vario tipo le ragioni, comprese le elevate soglie d’accesso dei prezzi di listino. In un contesto segnato da stipendi immutati da troppi anni, certe cifre risultano fuori portata in tante case. Qualche timido segnale di un’inversione di tendenza risale all’ultimo periodo, con la messa in commercio di BEV “low-cost”. Si notino le virgolette: nella migliore delle ipotesi ci aggiriamo, infatti, intorno ai 20.000 euro. Mica male, in rapporto alle somme del passato, addirittura un traguardo, come decantano gli stessi produttori, dalla Dacia con la Spring (fresca di aggiornamento) alla Citroën con la e-C3.

La Fiat Panda, attesa alla presentazione il prossimo 11 luglio in occasione dei 115 anni del Lingotto, sarà poi economica, attestandosi nel medesimo range della cugina d’oltralpe. Rapportata, tuttavia, alla Panda termica, ribattezzata Pandina, il gap sarà sostanziale. E prima di muovere critiche all’azienda torinese è corretto sottolineare che vale ovunque. I Costruttori ne sono costretti, a meno di non andare in perdita, poiché le spese di fabbricazione sono superiori, soprattutto attribuibili alle batterie. È, comunque, da mettere in conto la transizione ecologica: magari richiederà del tempo extra rispetto alla scadenza del 2035 fissata dalla Commissione UE, ma presto o tardi arriverà.

“Colpo mortale”

Prepararsi alla svolta è inevitabile, onde evitare di lasciarsi cogliere impreparati anche perché il danno alle casse del Fisco sarebbe ingente. Resta da definire un piano alternativo, diretto a sorreggere l’intero apparato statale. Ecco allora che l’intervento sulle full electric avrebbe senso, nella prospettiva delle forze politiche. Meno in quella di Borgia, che sul Foglio scrive: “Auto elettriche, con una mano dai e con l’altra prendi”. Oggi l’erario incassa 40 miliardi di euro da accise e IVA su benzina, gasolio e GPL: rinunciarvi costituirebbe un “colpo mortale”, sentenzia il giornalista. Secondo i dati ufficiali ACI del 2023, nel Belpaese le macchine provviste di spina sono di poco inferiori alle 240.000 su un totale di 54 milioni di esemplari circolanti.

“Una goccia nel mare: meno di uno ogni 200 – osserva Borgia -. Viene dunque da chiedersi perché lanciare ora il dibattito, con il rischio di allontanare ulteriormente gli automobilisti italiani dalla scelta di acquistare un’auto elettrica. Evidentemente essere il sesto peggiore paese Ue per vendite di automobili a batteria – superati in proporzione da paesi come Bulgaria, Ungheria, Lituania, Romania – non ci spaventa”.

Su 100 km percorsi da una termica, lo Stato incassa 5 euro, mentre per una BEV non si arriva quasi a un euro (dati Sky TG24). “A tendere dunque le imposte sull’energia elettrica dovranno sestuplicare per garantire l’equivalente incasso per il bilancio pubblico – conclude Borgia -. C’è una stagione per ogni scelta. E oggi – come dimostrano i numeri – non c’è alcuna ragione in Italia per aumentare le imposte sulle colonnine di ricarica”.